La politica divide, si sa, almeno nei paesi che hanno la fortuna di essere democratici e di consentire l’espressione libera del disaccordo: con il governo, con le istituzioni, con l’esercito, con la Chiesa. Gli Stati Uniti sono un caso di scuola nel fenomeno della diversità delle idee a ogni livello, tanto che è stata coniato il termine “culture war”, guerra di cultura, proprio per descrivere la acuta ostilità che anima i dibattiti sulle questioni più sensibili. Dalla educazione dei figli nelle scuole alle propensioni sessuali e di genere, fino alla questione dell’aborto, oggi al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica, e dei partiti, dopo la sentenza storica della Corte Suprema che ha cancellato il verdetto Roe-Wade del 1973.
Mezzo secolo fa una maggioranza (7 a 2) di giudici “attivisti” (nominati da presidenti dei due partiti) aveva introdotto il diritto “costituzionale” di abortire a livello federale, malgrado la Costituzione del 1787 non ne facesse alcun cenno. La settimana scorsa una maggioranza (6 a 3) di giudici “originalisti-testualisti” (nominati da presidenti repubblicani) ha ripristinato la situazione pre Roe-Wade. Mentre gli “attivisti” si sentono destinati a “produrre legislazione” anche senza aver quel mandato, perché credono di essere moralmente legittimati a creare nuove norme ovviamente in linea con la propria inclinazione ‘progressista’, gli originalisti-testualisti rispettano la lettera e lo spirito di quanto scritto nella prima Costituzione e di quanto è poi stato deciso dal Congresso, che ha il potere legislativo. [...]
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