Nel 2018, il debutto del regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) in Unione Europea prometteva di creare uno shock sistemico che avrebbe dovuto stravolgere il mondo del digitale fino alle sue fondamenta. Nell’arco di cinque anni qualcosa è effettivamente cambiato, ciononostante molte delle imposizioni legate al codice UE vengono regolarmente disattese, soprattutto da quelle aziende che si dimostrano più influenti e che possono quindi permettersi di sopportare anni di processi e di indagini. Mercoledì 4 gennaio qualcosa sembra però essere cambiato: le autorità europee hanno bersagliato Meta con provvedimenti severi, imponendo all’impresa tech di mettere a norma le sue modalità di raccolta dei dati nel giro di tre mesi.
Per comprendere quanto questa rivoluzione rappresenti una svolta storica, bisogna prendere atto del vitale ruolo che l’Irlanda si è volente o nolente accattivata all’interno del ramo giuridico che veglia sull’industria tecnologica. Secondo il GDPR, la vigilanza sulle eventuali violazioni perpetrate dalle aziende digitali cade infatti in seno a quelle nazioni che ne ospitano le sedi amministrative. Complice un panorama esattoriale particolarmente favorevole alle imprese, l’Irlanda ha finito negli anni con l’ospitare una fetta sostanziale delle Big Tech presenti sul suolo Europeo, con il risultato che la Data Protection Commission (DPC) di Dublino si è fatta carico di un lavoro dalle proporzioni importanti, arenandosi. [...]
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