Nel mondo politico russo si sta discutendo con particolare fervore ed indignazione, riguardo l’ultima decisione, piuttosto ambigua, dei venti deputati del parlamento ceceno che, seguendo l’iniziativa proposta dal proprio presidente del parlamento della Repubblica, Magomed Daudov, hanno prodotto un disegno di legge che dovrebbe cambiare l’articolo 63 del regolamento della Repubblica. A parte la nuova formula inserita nella legge, senz’altro discutibile, secondo la quale il capo della Cecenia diventerebbe l’unico garante della Costituzione della Repubblica, il documento propone di cambiare la definizione del presidente del parlamento della Repubblica, sostituendo la parola russa “capo” con la parola in lingua cecena “Mekh-Da”, che letteralmente significa “il padre del popolo” oppure “il padre del paese”.
Secondo molti politici e funzionari amministrativi russi, questa sostituzione del titolo per un incarico statale, che ad oggi è uguale in tutte le regioni della Russia, trasforma la posizione di un funzionario pubblico, in una vera e propria propaganda di culto della personalità. Tra l’altro questo appellativo ci riporta alla mente quello usato da Stalin che si faceva chiamare proprio “il padre dei popoli”. Oltre a non rispettare i principi etici e morali alla base di uno Stato civile, va contro la cultura di una società che si arroga il diritto di far parte dei paesi “moderni” ed attenti ai diritti civili. In molti hanno reagito a questa iniziativa con affermazioni forti e decise, accusando addirittura l’amministrazione cecena, di spingere la regione verso la creazione, al suo interno, di un califfato. Accusano inoltre i ceceni di non rammentare di far parte di un più ben ampio e complesso organismo politico e sociale che ha bisogno di sviluppi ed azioni omogenee e condivise per poter rimanere stabile e solido. [...]
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