La gravità della decisione del District Attorney (DA) di New York, Alvin Bragg, di sottoporre al Gran Giurì gli elementi di accusa in mano al suo ufficio per avere il via libera all’arresto e al processo di Trump ha provocato un prevedibile terremoto politico. Il muro contro muro è evidente nelle dichiarazioni dei rappresentanti dei due partiti che ruotano attorno a due concetti: “Questa è una incriminazione politicamente motivata”, che è la tesi del GOP, unito per respingere l’attacco; e “La legge fa il suo corso”, che è la tesi contrapposta dei DEM.
All’opposto, “il Grand Jury ha agito sulla base dei fatti e della legge”, ha twittato l’ex Speaker Nancy Pelosi, democratica. “Nessuno è al di sopra della legge e ognuno ha il diritto di andare a processo per provare la sua innocenza”. Una breve frase, ma dentro ci sono una gaffe rivelatrice e una falsità. La gaffe è la pre-convinzione della colpevolezza di Trump. Essendo lui l’imputato, non gli va riconosciuta la presunzione di innocenza, regola aurea del diritto. Dovrà provare lui che è innocente, una aberrazione processuale visto che è l’accusa che ha il dovere di dimostrare che l’imputato ha commesso un reato. La falsità è che nessuno è al di sopra della legge. Purtroppo, chi ha tenuto in questi anni gli occhi aperti ha visto l’opposto, se si trattava di Democratici invischiati in casi di giustizia. Hunter Biden è il caso più clamoroso, e si trascinerà finché il babbo è al potere. In passato, John Brennan e James Clapper, quando erano direttori della Cia e della National Intelligence durante l’amministrazione democratica di Barack Obama, mentirono sotto giuramento durante le audizioni congressuali, ma non subirono alcuna conseguenza penale. [...]
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