Partendo dal primo elemento, molti media mainstream in questi giorni si sono stracciati le vesti perché il deficit del 2023 sarebbe stato leggermente rivisto al rialzo, come pure le previsioni per quello del 2024. Ma tutto ciò è perfettamente normale, praticamente tutti i governi rivedono queste stime tra il DEF approvato ad aprile e la NADEF approvata entro settembre, anche perché le stime di crescita del PIL sono state riviste al ribasso ed ovviamente anche questo impatta sul maggior deficit. Ciò che però non si è ancora notato è che nonostante il leggero aumento del deficit nominale per l’anno prossimo, l’aggiustamento strutturale previsto sarà maggiore. Per chi fosse a digiuno con l’astrusa terminologia di bilancio, ricordiamo che il deficit strutturale è quel dato che depura, o cerca di depurare essendo anch’esso una stima, il deficit dalla componente ciclica dell’economia. Il senso è questo: se l’economia va a gonfie vele le entrate fiscali aumenteranno e quindi il deficit richiesto può essere inferiore, se le cose vanno male invece si può permettere una maggior flessibilità; in questo modo si dovrebbe far emergere il vero livello di deficit a prescindere da come sta andando la crescita economica. Ecco, per l’anno prossimo la diminuzione del deficit in termini strutturali sarà dell’1,1% contro lo 0,9% previsto ad aprile. In sostanza il governo Meloni prevede maggiore austerità.
Per quanto riguarda il superbonus invece è stata abbastanza patetica la conferenza stampa del ministro Giorgetti che si è indirettamente lamentato per quasi tutta la presentazione delle stime sul costo della misura, dimenticandosi che è ormai ministro dell’Economia e delle Finanze da un anno e che lo è stato per due allo Sviluppo Economico con Draghi. Senza contare che l’arresto del superbonus è stato proprio uno dei motivi del rallentamento della crescita del 2023 e che le ultime decisioni di Eurostat sono state (forzatamente?) benevole con il governo. Avendo infatti riconosciuto i crediti superbonus come pagabili, l’impatto degli stessi avviene al momento della loro generazione a bilancio, e non al momento dell’effettiva fruizione. Dunque, come riconosce la stessa NADEF, “si riscontra un miglioramento per l’indebitamento 2024 e 2025 (+0,3 e +0,2 punti percentuali di PIL, rispettivamente) collegato agli effetti della riclassificazione”. In sintesi, il governo si dà la zappa sui piedi bloccando una delle poche misure positive per l’economia, parla di stime sballate e di costi in più, ma la realtà è che viene aiutato e non poco da Eurostat. [...]
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