Da un po’ di tempo, e ben prima del nuovo terribile conflitto in Medio Oriente, i mercati avevano cominciato a soffrire. Con le trimestrali di metà ottobre le accelerazioni ribassiste, già cominciate nel mese di agosto, sono state ancora più cogenti, segno del fatto che i tassi di interesse così alti non potevano non avere un impatto negativo sui conti di famiglie e imprese e, di riflesso, sui conti delle società quotate.
La parola d’ordine, prima che sia tardi, dovrebbe essere quella di uscire in vendita da ogni strumento (equity, commodities, valute, etc) considerando che macro e micro-economia risultano fortemente compromesse. Vorrei però concentrarmi proprio su quella che considero l’ennesima sciocchezza dei “traders fanfaroni” o dei “fondi senza logica”, ossia cercare “riparo” nell’oro e nel petrolio. Quando si cedono le quote nell’equity si è sempre provato a bilanciare il portafoglio andando su strumenti difensivi come l’oro e il petrolio. Ma un tempo l’oro si trovava sotto ben sotto i 1.000 dollari e poteva avere un senso acquistarne una parte poiché i settori dell’economia comunque non erano in piena sofferenza come oggi. L’inflazione era bassa e consentiva al sistema finanziario di vivere ugualmente, sostenuto da una economia davvero in crescita. Ma nello stato attuale il mondo si trova in piena crisi di sopravvivenza, con tante esposizioni debitorie da parte di imprese e famiglie, e l’oro non è certo un valore circolante e protettivo come un tempo! [...]
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