Sembra un paradosso e una contraddizione in termini, ma il mastodontico apparato burocratico dell’Unione europea sta virando, da tempo, verso una sorta di “autoritarismo liberale” che limita la libertà di espressione e approva la censura sistematica delle opinioni scomode in nome della democrazia e di un’unica ideologia, quella “liberale” appunto (con buona pace del principio di non contraddizione aristotelico).
Naturalmente, tale virata delle élite europee verso un modello più autoritario e dispotico non ha assolutamente nulla a che vedere coni il “liberalismo” classico, quanto più verso una forma contemporanea di capitalismo finanziario laissez-faire in campo economico e ultra-atlantismo in quella della politica estera, tanto da rimanere in silenzio dopo il sabotaggio del Nord Stream 2. Lo abbiamo visto con l’approvazione del Digital Services Act, l’arma che l’Unione europea usa per controllare l’informazione e censurare il dissenso: come ha infatti spiegato in un thread su X il giornalista Premio Pulitzer Glenn Greenwald, la mossa dell’Ue rappresenta l’ultima escalation di “un regime di censura statale sempre più dispotico” che ha messo radici non solo in Europa, ma in tutto l’Occidente. [...]
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