C’è poco da dire: la Turchia ha sottratto all’Italia quel ruolo di cerniera nelle relazioni internazionali che avevamo coltivato con abilità nel secondo Dopoguerra, ponendoci come interlocutori credibili dei Paesi in via di sviluppo, sia in Africa che nel Medio Oriente, mantenendo rapporti economici intensi con l’URSS contribuendo allo sviluppo industriale con Togliattigrad e riconoscendo tra i primi la Cina comunista.
C’è un punto che va chiarito nella politica filoamericana perseguita sin dai tempi di De Gasperi: era fondamentale al fine di assicurare la stabilità politica interna nei confronti di un Partito Comunista ancora troppo legato al mito della socializzazione dei mezzi di produzione e di garantire il posizionamento dell’Italia nella spartizione dell’Europa definita a Yalta e convalidata dall’adesione alla Nato, ma non impediva all’Italia stessa di giocare duramente a livello internazionale per assicurarsi in primo luogo l’indipendenza energetica contrattando con i Paesi produttori di petrolio condizioni assai più favorevoli di quelli che venivano concessi loro dalle Sette Sorelle, le big petrolifere anglo-olandesi ed americane Exxon, Mobil, Texaco, Standard Oil, Gulf, Royal Dutch Shell e British Petroleum. [...]
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