G7 da una parte, Brics dall’altra. Se negli anni ‘60 la politica internazionale viveva della contrapposizione tra il blocco occidentale guidato dagli Stati Uniti e quello orientale dell’Unione Sovietica, oggi il dualismo si sviluppa tra il gruppo intergovernativo composto dalle sette nazioni, Italia inclusa, ritenute più avanti dal punto di vista politico, economico, industriale e militare e l’altro raggruppamento, con in testa Cina e Russia, che rappresenta nove economie emergenti.
Un fattore determinante nella contesa è il dollaro: la valuta statunitense è il riferimento del sistema internazionale dei pagamenti ed è usata come standard sui mercati per la quotazione di oro e petrolio. Una delle ambizioni dei paesi Brics è gettare le basi per un sistema commerciale e finanziario non più basato sul dollaro, magari grazie al lancio di nuova valuta. Di recente il presidente eletto americano Donald Trump ha evocato ritorsioni per l’eventuale “de-dollarizzazione”, minacciando l’applicazione di dazi fino al 100% sulle importazioni dei paesi appartenenti al gruppo. Ma quanto sono effettivamente rilevanti oggi le economie Brics? Se si considera la centralità del dollaro, le riserve auree e la capacità di finanziare la propria difesa, i paesi del G7 risultano in chiaro vantaggio; tuttavia, i Brics possono contare su una popolazione più ampia e giovane, una maggiore produttività e un dominio incontrastato sulle strategiche terre rare. [...]
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