La storia economica dell’Italia ripropone spesso il tema del “vincolo esterno” per l’Italia, ossia l’influenza di soggetti esterni relativamente alle scelte politiche ed economiche dei governi in carica.
Guido Carli, partendo dal “conflitto tra le due anime della società italiana, quella che vuole aprirsi all’esterno e quella che vuole invece chiudersi; quella che trova rifugio nella mano pubblica e quella che accetta la sfida della concorrenza”, riteneva l’intervento esterno come elemento necessario per urgenti adempimenti mai attuati dai policy maker italiani, salvando contestualmente l’anima mercantilista degli anni 50-60. Carli “[L’]assunto di fondo della nostra politica [era] il rispetto del vincolo esterno della bilancia dei pagamenti, perseguito attraverso uno sviluppo privilegiato della domanda estera, soddisfatta con esportazioni alle quali era demandato il compito di trainare tutta l’economia. Era il ‘modello di sviluppo’ che l’élite liberale alla quale appartenevo aveva scelto fin dalla fine degli anni Quaranta… una crescita trainata dalla domanda estera costringe a una politica salariale restrittiva […]. Un modello basato su un più intenso sviluppo della domanda interna avrebbe consentito una politica salariale più generosa, attuando una redistribuzione del reddito più favorevole alle classi lavoratrici [….]. Questa obiezione contiene del vero. Tuttavia […] l’inserimento dell’Italia nel circuito delle merci, dei capitali e vorrei dire delle idee del più vasto mercato mondiale ci appariva come una priorità assoluta. L’economia di mercato, mutuata dall’esterno, è sempre stata una conquista precaria, fragile, esposta a continui rigurgiti di mentalità autarchica. Il vincolo esterno ha garantito il mantenimento dell’Italia nella comunità dei Paesi liberi. La nostra scelta del ‘vincolo esterno’ è una costante che dura fino ad anni recentissimi caratterizza anche la presenza della delegazione italiana a Maastricht. Essa nasce sul ceppo di un pessimismo basato sulla convinzione che gli istinti animali della società italiana, lasciati al loro naturale sviluppo, avrebbero portato altrove questo Paese.” [...]
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