Con un annuncio a sorpresa, il 30 luglio Donald Trump ha scosso il mercato dei metalli, colpendo prodotti finiti e semilavorati in rame. Questa mossa lascia fuori però i flussi di rame raffinato, rottami e anodi, cioè il grosso del commercio globale. Le tariffe, in vigore dal 1° agosto, colpiscono infatti tubi, fili, trasformatori, impianti elettrici e motori: in pratica, la catena industriale del rame. Ma escludono ciò che davvero muove davvero il mercato, con una scelta che ha disorientato gli operatori e fatto crollare del 20% il prezzo sul mercato americano, azzerando in poche ore il premio rispetto al LME di Londra. I trader che avevano scommesso su una corsa all’import pre-tariffa si sono trovati con magazzini pieni e margini bruciati. La domanda ora è: è solo l’inizio? Fino a dove può arrivare il prezzo del rame?
Dietro la facciata da guerra commerciale c’è una strategia molto più chirurgica. Trump ha evitato di colpire il rame “utile” agli Stati Uniti, quello che serve all’industria nazionale per restare competitiva, e ha affondato invece le importazioni di prodotti finiti, spesso provenienti da partner come il Canada. Una mossa protezionista, sì, ma calibrata: si taglia l’export altrui, senza danneggiare troppo il sistema produttivo interno. [...]
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