Negli ultimi quindici anni la produzione di shale statunitense ha rivoluzionato i mercati energetici, facendo degli Stati Uniti il primo produttore mondiale di shale oil e modificando radicalmente i rapporti di forza con l’OPEC. L’uso combinato di perforazioni orizzontali e fratturazione idraulica ha trasformato giacimenti considerati marginali in fonti redditizie, generando una crescita incessante dell’offerta globale. Tuttavia, questa espansione sembra avere raggiunto un punto di svolta: dopo aver toccato un massimo nel dicembre 2024 con oltre 13,6 milioni di barili al giorno, la produzione è scesa di circa il 2% nei mesi successivi.
Le ragioni di questo rallentamento sono riconducibili principalmente a due fattori: il progressivo aumento dei costi di estrazione e il calo della produttività media dei pozzi. Per anni l’innovazione tecnologica ha permesso di compensare i limiti geologici, ma oggi i vantaggi marginali di queste tecniche risultano meno significativi. Nel 2024 la produttività per pozzo è cresciuta soltanto del 3%, uno dei valori più bassi degli ultimi quattordici anni, segnale che le aree a più alta resa si stanno esaurendo e che i nuovi giacimenti richiedono investimenti sempre più onerosi. [...]
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